I RISCHI nell’USO VACCINALE di DNA e RNA

a cura di Maria Cristina Caprio

Quello che segue costituisce un prologo sulla necessità di indagare quali possano essere le conseguenze dell’integrazione, a livello genomico, di DNA ed RNA estranei (quali quelli introdotti tramite l’inoculazione degli attuali vaccini anti Covid-19 a vettore adenovirale e a mRNA) ed i fattori epigenetici coinvolti, trattandosi di terapie ancora in fase sperimentale, i cui effetti a medio-lungo termine potranno essere osservati solo a distanza di anni dall’avvenuta somministrazione.
Con estrema attenzione nel seguire i progressi di tali studi, presenti in letteratura scientifica ufficiale, seguiranno ulteriori approfondimenti.

Possibilità di integrazione di DNA da vettore adenovirale (Astrazeneca)e retrotrascritto da RNA (Pfizer, Moderna): conseguenze a livello epigenetico e fattori potenzialmente concorrenti a determinare gli effetti indesiderati.

Recenti ricerche rivelano che la porzione di genoma umano non codificante ammonta al 60-66% (De Koning et al. 2011).
Questi elementi ripetuti non codificanti provengono da insersioni accumulatesi durante l’evoluzione tramite integrazione di DNA virale o DNA retrotrascritto da RNA di genomi retrovirali.
Alcune porzioni di queste sequenze possono essere sovraespresse nei casi di cancro o patologie autoimmuni.
Il primo processo di ricombinazione tra DNA estraneo e genoma è stato dimostrato nel 1968 infettando cellule di mammifero con adenovirus Ad12 (Doerfler).
Sebbene, proprio in virtù del fatto che la maggior parte del DNA non è codificante, la possibilità che una porzione di DNA estraneo, integrandosi, colpisca un gene funzionale sia 1/100, è stata dimostrata l’esistenza di effetti epigenetici che coinvolgono siti più o meno vicini al locus di integrazione, i quali non possono essere previsti con certezza e potrebbero provocare effetti collaterali da vaccino, in termini di un eventuale rischio di ricombinazione con il DNA contenuto nel vaccino e ancora non ben determinati livelli di espressione genica delle sequenze integrate.
A questo proposito è stata dimostrata l’esistenza di una correlazione inversa tra i livelli di metilazione di specifiche sequenze, integratesi in cellule di mammifero e provenienti dai genomi di Ad2 e Ad12, e i relativi livelli di espressione genica di tali regioni (Sutter and Doerfler 1980, Vardimon 1980, Doerfler 1983).
In un recente studio è stato dimostrato che sequenze integrate nel nostro genoma provenienti da retrotrasposoni o da infezioni da retrovirus contratte precedentemente (ad esempio famiglia Herpesviridae)possono, anche a distanza di molto tempo, provocare un’eccessiva risposta immunitaria, concorrendo alla comparsa di patologie autoimmuni (T. Mustelinet et al.2020).
Nonostante manchino ancora evidenze sulla possibilità che adenovirus umani siano coinvolti nella tumorogenesi, questo evento non può essere escluso, soprattutto in riferimento ai vaccini basati su vettore .
E’ stata osservata la trasformazione di cellule di mammifero infettate con Ad12. Tale trasformazione continuava ad avvenire anche quando il DNA estraneo non era più rilevabile all’interno della cellula, come confermato in uno studio condotto inducendo in criceti tumori tramite infezione da Ad12e dal quale si evinceva come non risultasse più necessaria la persistenza del genoma virale all’interno delle cellule tumorali perché lo stato tumorale indotto venisse mantenuto (Kuhlmann et al. 1982).
Ciò confermerebbe che fattori epigenetici giochino un ruolo di rilievo nel processo di tumorogenesi innescato da infezione da adenovirus, la persistenza a lungo termine del cui DNA è stata appunto dimostrata non essenziale (Doerfler et al. 2018, Heller et al. 1995).
Il vettore adenovirale di scimpanzé utilizzato nel vaccino Covid19 ChAdOx1 di Astrazeneca è costituito dalla sequenza codificante per la glicoproteine Spike S1, la cui espressione è sotto il controllo del promotore TeT CMV (di cytomegalovirus), uno dei più potenti promotori eucariotici (la sintesi della glicoproteina spike avviene a livelli elevatissimi, sovraccaricando il sistema cellulare ribosomiale deputato alla produzione delle proteine e, di conseguenza, rallentando il fisiologico processo di sintesi delle proteine necessarie al nostro organismo), e da 28 Kbp rappresentanti geni di adenovirus Ad26 di scimpanzé (Almuqrin et al. 2021).
Le particelle adenovirali vengono prese in carico dal sistema linfatico e dal fegato ed il loro DNA è indirizzato all’interno del nucleo delle cellule.
In esperimenti condotti in vitro , i geni virali risultavano espressi a differenti livelli nelle diverse linee cellulari umane utilizzate. Non è attualmente noto, in quanto mancano studi a riguardo, quali geni del vettore adenovirale di scimpanzé siano effettivamente espressi dopo l’inoculazione del vaccino.
Oltre ai suddetti possibili problemi a lungo termine dovuti all’integrazione di vettori adenovirali ed ai conseguenti effetti epigenetici, che saranno osservabili soltanto dopo anni dalla vaccinazione e il cui ruolo, relativamente alla comparsa di effetti dannosi post inoculazione non è stato criticamente affrontato e valutato, bisogna tener conto del fatto che brevi omologie di sequenza tra questi geni introdotti con ChAdOx1 e quelli di adenovirus potrebbero essere sufficienti a provocare, nei vaccinati, risposte immunitarie con frequenza e di entità variabile da individuo a individuo. In particolare, questo vale per adolescenti e bambini, che non sono ancora venuti naturalmente a contatto con simili infezioni, e giovani donne, che potrebbero essere particolarmente colpite da questa eccessiva risposta immunitara.
Rimane da indagare il perché i trombociti siano il target preferenziale di queste reazioni. A tal riguardo appare di primaria importanza sottolineare che la trombocitopenia è stata rinscontrata in soggetti trattati con costrutti a vettore adenovirale nel corso di diverse precedenti applicazioni geniche terapeutiche (Lopez, Gordo et al. 2017).
Il primo paziente curato con tale approccio è stato un ragazzo di 18 anni, affetto da una patologia metabolica legata al cromosoma X, che portava a insufficienti livelli si sintesi di ornitina transcarbaminasi a livello epatico, nel 1999. Il paziente è deceduto pochi giorni dopo. Le indagini effettuate allora non sono state sufficienti a stabilire la causa dell’effetto letale e questo drammatico episodio portò all’immediata cessazione dell’utilizzo di terapie a base di vettore adenovirale per moltissimi anni.
Recentemente un attento studio, teso a definire la causa del decesso, ha messo in evidenza l’avvenuta formazione di un complesso adenovirus-anticorpo, che ha contribuito all’insorgere di una “infiammazione sistemica letale”nell’organismo del ragazzo (Somanathan et al. 2020).
I vaccini Pfizer e Moderna contengono mRNA per la sintesi della proteina Spike S1 del SARS-COV-2. E’ stato dimostrato che l’integrazione nel genoma dell’ospite e la creazione, quindi, di cellule di mammifero transgeniche, è possibile (Doerfler 2000, Doerfler et al. 2018), come confermato in un ulteriore studio da cui si evince la possibilità di integrazione di porzioni di DNA retrotrascritte dal RNA virale del SARS-COV-2, le quali possono quindi continuare ad essere espresse anche quando il virus non è più presente nella cellula (Zhang et al. 2021).
Tramite sequenziamento, gli autori hanno osservato la presenza di copie di DNA del virus nel 10-20% dei pazienti Covid-19. Tale frammento di DNA, fiancheggiato da siti di duplicazione e da sequenze di restrizione del tipo LINE-1, che contengono geni codificanti per gli enzimi trascrittasi inversa ed integrasi, risultava frequentemente trascritto.
Date le evidenze sulla possibilità che l’infezione da SARS-COV-2 porti alla sintesi di un retrotrasposone di tipo LINE-1, appare fondamentale indagare se l’mRNA contenuto nei vaccini sia i grado di seguire lo stesso destino.
In definitiva, il rischio di integrazioni indesiderabili di DNA da vettore adenovirale (Atrazeneca) appare paragonabile a quello di integrazione di retrotrascritti da mRNA (Pfizer, Moderna).
E’ necessaria estrema prudenza nell’introdurre acidi nucleici esogeni nell’organismo umano, come avviene per la vaccinazione di massa, e informare la popolazione riguardo alle complessità della biologia deve costituire una guida affidabile affinchè si possa giungere ad una decisione assolutamente personale e consapevole riguardo alla vaccinazione.

Walter Doerfler, Virus Research, settembre 2021, 302; 198466.

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